Come si fa ad amare la fatica? Se non si è ancora riusciti infatti a trovare con la fatica quella intimità che consente di gestire al meglio i momenti più faticosi delle gare e degli allenamenti, vediamo quale può essere il motivo. L’intimità con la fatica la si può ottenere grazie alla mente, che attinge alle nostre risorse nascoste, quelle che non sappiamo di avere, ma sono fondamentali per resistere anche quando si accende quella spia rossa che segnala la fine di tutte le energie. L’atleta mentalmente forte è in grado di gestire la spia che lampeggia e i pensieri negativi ad essa associati affidandosi a una reazione positiva che gli consente di proseguire. Da letture e ricerche effettuate posso dedurre che il limite ultimo di tolleranza allo sforzo non è mai nei muscoli, ma nella mente, in particolare in quella componente, se così si può definire, che viene chiamata percezione dello sforzo. Pertanto sono convinto, anche in qualità di sportivo, che la mente è la motivazione più forte che si ha nel resistere alla fatica. Certo che a questo momento nasce spontanea la domanda; ma come si fa a non avere paura della fatica? Secondo quelle che sono le mie esperienze, posso chiarire che l’unico modo per riuscirci è mettersi in gioco, bisogna provarci, entrarci dentro un poco alla volta. Iniziare, ad esempio, a chiedersi quanta fatica sono riuscito a sostenere durante una corsa o un allenamento e valutare quanto ancora poter richiedere al proprio fisico. In sintesi non bisogna aver paura di percepire la fatica, perché intimorirsi al primo avviso di fatica si impedisce il proprio corpo e alla mente di adattarsi e di portare entrambi ad un livello di lavoro alto. Secondo quanto definito da diversi mental coach il processo della fatica è come un dialogo tra il corpo e il cervello. I segnali fisici che partono dal fisico, come la concentrazione dell’acido lattico, la frequenza cardiaca, la respirazione, ecc… arrivano al cervello che a sua volta elabora delle informazioni creando la percezione della fatica. Ed ecco che una reazione emotiva negativa si può tradurre in ulteriore affaticamento ad esempio attraverso un aumento della concentrazione di acido lattico. Esso è definito anche lattato è un sottoprodotto del metabolismo anaerobico lattacido. Si tratta di un composto tossico per le cellule, il cui accumulo nel torrente ematico (massa circolatoria del sangue) si correla alla comparsa della cosiddetta fatica muscolare. Quindi in conclusione la preparazione mentale ci offre la possibilità di gestire questa reazione, pertanto modificando il vissuto emotivo e i pensieri, facendoli diventare positivi e propositivi, migliorerà la risposta del nostro corpo. Termino con una mia definizione: quello che per molti può apparire come una sofferenza alla lunga si tramuta in una strada che porta alla riuscita e raggiungimento di un obiettivo.
Prof. Stefano D’Alterio
Docente di Scuola Secondaria di Primo Grado
Allenatore UEFA B – F.I.G.C.
Preparatore Fisico di 2° Grado per il Tennis – F.I.T.P.